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Speciale Terra Santa

3 gennaio: la Verità ti scava dentro

Il pellegrinaggio in Terrasanta, per un cattolico, è il viaggio della vita. Prima di partire molte persone che conosco mi han augurato le cose più varie: dalla mia collega che mi dice “Chi ci è stato mi ha detto che è un posto magico”, alla mia famiglia felicissima per questa mia esperienza ma in apprensione a seguito degli scontri di un mesetto fa. Altri mi han invitata a “toccare tutto” fino a chi, infine, ha vissuto in prima persona un viaggio così e mi ha detto con gioia e fermezza che quando si torna a casa non si è più gli stessi.

Adesso sono a Gerusalemme dopo essere stata a Nazareth, poi sul Lago di Tiberiade, Cafarnao, Betlemme ecc… e a me sembra di essere via da un mese: il tempo si dilata, i luoghi da visitare sono infiniti e tutto è a portata di mano e di cuore.

Pensando a ciò che mi è stato augurato mi sento di dire che qui non c’è nulla di magico ma è tutto molto vero. L’impatto con queste culture per me,che ho sì viaggiato ma sempre in città europee, è fortissimo, scardina la mia mentalità occidentale.

Questa è la terra di Gesù, la terra della Promessa. Ho provato a stare in questa certezza col cuore spalancato e cercando di andar dietro all’intuizione che la promessa di Dio non è solo per il popolo di Israele ma è una promessa di fedeltà e di eternità che, in Gesù, fa a me e a ciascuno.

La cosa che fin da subito mi ha spiazzata è quel “HIC”, quel QUI che risuona in ogni dove. È solo una parola ma essa fa cambiare tutto e mi viene da pensare a quanto sia concreta la Sua presenza nella mia quotidianità.

In questi giorni ho sperimentato il dono grande di toccare con mano, con lo sguardo e con tutta me stessa la verità. Ultimamente mi sono interrogata molto su cosa essa sia per verificare nel profondo se davvero Gesù è verità per la mia vita. Camminando su questa terra sto capendo che tale ricerca non è frutto di un sentimentalismo ma è un bisogno sempre più urgente. Nella terra della promessa c’è una verità di fondo che abita ogni luogo, ogni persona incontrata e ogni esperienza…e davanti a ciò il mio cuore, come un radar, trova la giusta corrispondenza.

Questa consapevolezza che sto trovando non risparmia dalla fatica di stare dentro alle situazioni fino alla fine. Ieri ad esempio abbiamo ricordato la Via Crucis sulla Via dolorosa. Bene, la Via dolorosa ospita il mercato di Gerusalemme (un mercato arabo vero, non pensate ai nostri mercati cittadini!) e quel che regna è il caos! Mentre stiamo facendo memoria dell’incontro di Gesù con la Veronica arriva un giapponese a fare delle foto e un altro che desidera ardentemente venderci 15 cartoline a un euro (un vero affare!); arriviamo al Santo Sepolcro per le ultime stazioni e veniamo sballottati da una parte all’altra perchè deve cominciare la processione…tranquillità zero! Però, a ripensarci bene, non poteva andare meglio di così. Sarebbe stato davvero troppo facile fare tutto con calma e nel silenzio e cullare i miei stereotipi. Gesù duemila anni fa ha vissuto la Sua Passione nello stesso rumore e io, oggi, posso scegliere se stare con Lui, posso esercitare la mia libertà.

Diventa sempre più chiaro ciò che successe al profeta Elia: la presenza del Signore non arriva nella vita come un terremoto ma come il soffio di un vento leggero… nel marasma generale di questo posto Dio è presente in modo potente e discreto affinchè io possa aderire a Lui.

Questa mattina abbiamo celebrato la Messa al Santo Sepolcro: partire dal nostro alloggio così presto (alle 4.30) quando ancora tutto dorme (questa volta abbiamo fatto prima noi del muezzin!) mi ha fatto ripensare alle donne che, all’alba della mattina di Resurrezione, vanno alla tomba del loro Signore. È disarmante, ma il sepolcro è davvero vuoto! Bella forza, lo sapevo già! Ed invece no. Chinare il capo, inginocchiarmi e accarezzare la lastra che ha ospitato il corpo di Cristo morto e risorto mi ha fatto prendere ancora più coscienza del fatto che io sono stata pensata e amata da sempre…e fatta per risorgere con Lui.

Domani torniamo a casa. Partivo col desiderio di ringraziare per quello che il Signore, con la sua benevolenza, mi dona ogni giorno. Ora posso dire che non devo aver paura di nulla e che non devo preoccuparmi perchè Gesù ha vinto la morte e Lui è con me, sta dalla mia parte.

Venire qui non è un’esperienza simile ad un fuoco che poi rischia di spegnersi. È molto diverso, è scoprire la Verità che piano piano scava dentro di te pazientemente… e fa scoprire che la promessa di Dio non è lontana ma si sta già compiendo.

Una giovane pellegrina

2 gennaio: lasciamoci travolgere dalla grazia

La voce rompe il suono continuo del martello pneumatico che lavora nelle vicinanze: prima stazione…Gesù è condannato a morte…ora non è il rumore che risuona nelle orecchie ma quella frase udita chissà quante volte.

Nel pieno della vita, del quotidiano entra la morte, portata dall’uomo incapace di riconoscere la luce che illumina il cuore, dall’uomo che sono io, che si lascia sovrastare dalle voci insignificanti alle quali troppo spesso lascia libertà di fare, per pigrizia o egoismo, voci alle quali da un potere che pensa di possedere.

Il caos della strada è forte per non entrare nel piccolo gruppo che apparentemente senza senso è in cerca di numeri sui muri, fra i portoni delle botteghe. Un rumore che diventa anche esso un peso da sopportare: seconda stazione…Gesù è caricato della croce…e quel peso non ha più senso, sparisce e lascia posto ad altro, posto per i pesi che preferirei lasciar caricare ad altri, pesi di cui ora, senza troppe spiegazioni, vorrei farmi carico.

Terza stazione…Gesù cade sotto il peso della croce…fra l’indifferenza del mercato che si anima sempre di più, incontro il volto di Gesù schiacciato al suolo, sofferente. Colui che quel suolo l’ha usato per insegnare a perdonare ora lo ritrova pieno di soprusi, invidie, odio mentre io rimango a guardare cercando una parte in conflitti che mi permettano di trarre un vantaggio personale, che mi permettano di sentirmi potente. Mi scopro piccolo nello sguardo carico di amore che si insegue fra gli occhi del figlio e della madre, uno sguardo che non ha bisogno di tempo per spiegarsi…quarta stazione.

Quinta stazione…Simone il Cireneo aiuta Gesù a portare la croce…a pochi metri uno sguardo genera amore e qui mi lascio incontrare anch’io da quegli occhi che in me aprono a un desiderio profondo: generare amore.

Quell’amore che si legge in un piccolo gesto verso chi ci si trova di fronte…Sesta stazione…la Veronica asciuga il volto di Gesù…non ha senso asciugare il volto a chi cammina nella sofferenza. Asciugare il volto è accarezzare è ancora una volta generare amore, ancora, senza lasciarsi vincere dall’apparenza, è accompagnare una vita che non sta andando a finire in se stessa, è aprire il palmo e offrire un sostegno secondo la propria forza è riconoscersi in una storia che va al di là della mia presenza, di una storia che non si chiuderà nel dolore un farsi dono che spalanca alla vita.

Settima stazione…Gesù cade a terra per la seconda volta…ancora una volta il viso di Gesù si trova a contatto con la terra. La terra che al contatto con la saliva di Gesù ridona la vista, ridona la capacità di ritrovarsi e riscoprirsi amati la ritrovo qui a chiamarmi, io che mi ero distratto mi ero assentato, ero diventato cieco mi ritrovo guarito a guardare ancora quegli occhi che non mi giudicano, quegli occhi che amano e che chiedono, quegli occhi che vedendomi perso soffrono più per me che per la loro condizione…ottava stazione…Gesù consola le donne di Gerusalemme.

Nona stazione…Gesù cade per la terza volta…ancora pochi passi e l’affidamento al Padre sarà pieno. Sono pronto ad affidarmi al Padre? Cosa mi fa inciampare, cosa lega il mio piede alla terra anche ora che credevo di essere pronto a lasciarmi fare da Dio?

La mia natura umana, la debolezza insita nel mio cuore mi chiude in me stesso e lo sforzo ora di sollevarsi e liberarsi della carne è immenso, ma sotto la croce non sono solo; mi basta cercare quello sguardo per ritrovarmi in piedi.

Decima stazione….Gesù è spogliato delle vesti…è l’ora di liberare l’uomo vecchio dalla natura umana, ritrovarsi nudi davanti al Padre che mi chiama Adamo per rigenerarmi nell’Amore che mi trasfigura nell’intimo. Nel viavai del Santo Sepolcro mi trovo dinnanzi al Agnello immolato, undicesima stazione…Gesù viene crocifisso…negli ultimi istanti della vita terrena Gesù trova la forza di pregare e ancora una volta affidarsi all’Amore che l’ha generato mentre l’uomo lo innalza al di sopra di se stesso, mentre tentando di annientare l’amore apre al più grande gesto di salvezza, trovandosi davanti a Gesù che gli spalanca le braccia, esalando l’ultimo respiro…dodicesima stazione…Gesù muore in croce…gli occhi si fermano sul corpo esanime, straziato dalla cecità dell’uomo, ancora una volta tornato cieco, tornato all’egoismo, alla natura terrena che lo inchioda al suolo, ai piedi della croce dove riconosce il proprio peccato.

Tredicesima stazione…Gesù è deposto dalla croce…nel silenzio desolante degli eventi risuona il salmo pregato da Gesù morente, che si sedimenta nel cuore dell’uomo come una certezza, una promessa di futuro radioso nella gloria della resurrezione.

Quattordicesima stazione…Gesù è deposto nel sepolcro…colui che era stato innalzato sopra gli uomini ora viene affidato alla terra, quella terra che al suo contatto rigenera la vita!
Una terra che ribolle del verbo incarnato, una terra pronta ad esplodere…“Gioisca la terra inondata da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.”

Con questa certezza il cuore si spalanca, lasciamoci travolgere dalla grazia dell’incontro con Cristo che ci rigenera nell’Amore.

Un giovane pellegrino

1 gennaio 2013: Custodire la lingua

Gerusalemme dicono sia la città dove il cielo incontra la terra, e potrebbe sembrare assurdo agli occhi di un esterno, ma diviene ancor più tangibile se si respira e si incontra qualche personaggio del luogo. L’enfasi aumenta se l’autoctono è padre David, uomo capace di stupire e coinvolgere con le sue parole.

Padre David Neuhaus è un gesuita, vicario patriarcale per i cattolici di espressione ebraica a Gerusalemme, che significa essere il punto di riferimento per gli ebrei di fede cristiana cattolica presenti nel paese.

Vi starete chiedendo, ma come, esistono ebrei cristiani??

La comunità è presente e attiva, ed ha avuto differenti numeri nel corso del recente ciclo di vita. Gli ebrei che non capivano Dio senza Gesù e che sono riusciti ad incontrare Cristo (cit. Padre David) erano una piccola minoranza (lo sono ancora) che si è alimentata con il rientro in patria di molti concittadini cristiani-europei dopo la fine della seconda guerra mondiale. È tra il 1955 ed il 1965 che nasce ufficialmente la prima comunità di ebrei cristiani che ovviamente ha un forte legame con l’antico testamento ma che è altresì in grado di rispettare e rinnovare il proprio credo seguendo gli insegnamenti papali. La fedeltà e l’abnegazione, garantiscono in poco tempo di poter utilizzare l’ebraico come lingua ufficiale per la preghiera e la celebrazione della santa messa. È il 1956 ed è un evento storico che padre David ha voluto sottolineare con cura.

Altri due sono stati i momenti salienti dell’incontro che rimarranno impressi nella mia memoria e che è un piacere riportare alla vostra attenzione.

La sua spiegazione dello status quo, cioè l’immobilismo creatosi a causa della difficile coesistenza delle diverse correnti all’interno della chiesa (cristiani–ortodossi –copti–armeni-etc). Secondo il Padre esso “non esiste”. I cristiani di tutte le estrazioni sono uniti, mentre i vertici della chiesa, impersonificati nei vescovi e nelle alte cariche non sono in grado di capire la realtà e sono lontani dai fedeli creando divisioni fittizie.

La preghiera che ci ha lasciato è stato un capolavoro dell’arte oratoria. Senza giri di parole, ci ha esortato ad essere CUSTODI DELLA LINGUA, ad essere ambasciatori di un discorso nuovo, un discorso che trovi compassione per tutti, perchè le ferite qui, in terra santa, sono sulla pelle di tutti. Noi cristiani, abbiamo una grande responsabilità, educare coloro i quali vengono in queste terre con un preconcetto ed un bandiera da seguire (pro israele or palestina) a tornare a casa come veri discepoli di Cristo, capaci di eliminare i pregiudizi e lavorare per la pace, che è la vera missione del prossimo futuro.

Padre David è riuscito a convincermi (non era facile)…ora tocca a tutti voi, anzi a noi…TUTTI INSIEME!

Lorenzo Benfenati

1 gennaio: la tomba è vuota

La salita al Santo Sepolcro dal nostro ostello la faccio in fretta: mi sono attardata a sistemare un po’ le mie cose e gli altri mi aspettano. Sono emozionata, sto per visitare il Santo Sepolcro..sì va bene ieri ci sono passata al volo, ma quella non conta…era solo curiosità..
Arriva Piotr, il prete polacco (dobbiamo dirlo molto molto bello) che ci accompagnerà nella visita e entriamo, mi impongo il silenzio, voglio farlo anche attorno a me..soprattutto quando un gruppo di indiane mi spintona per superarmi sulla scala che porta al Calvario o la coreana di fianco a me chatta su skype con il suo smartphone.

Decido di fidarmi e di lasciarmi guidare, anche quando Piotr ci invita a toccare la pietra dell’Unzione come gesto per iniziare il pellegrinaggio: mi torna in mente una mattina a Padova con un amico frate che spiega il perchè del toccare la tomba del Santo a me che arrivata dopo più di cento chilometri fatti a piedi a Santiago non ho toccato nemmeno l’albero di Iesse (insomma non è nel mio set di espressioni della fede), quel frate l’ho appena sentito per sms..il caso non esiste, tocco!

Poi saliamo al calvario e lì la nostra guida ci invita a portare sul Golgota tutte le persone che ci hanno chiesto una preghiera. Mi fermo, scorro nella mia mente la “lista”…quante persone, non voglio dimenticare nessuno. Aspetto a mettermi in fila per toccare il monte attraverso il buco sotto l’altare…tocco ancora la terra, fredda, liscia che racconta la fede di milioni di pellegrini in questo luogo…

Il pellegrinaggio continua e ci mettiamo in fila per entrare al Sepolcro. Qui don Piotr ci racconta storie di conversione ma soprattutto ci richiama alla prima cosa che ci ha detto fin da fuori questo luogo: qui non troveremo Dio, molte persone hanno trovato la fede, altre l’hanno riscoperta e tutto questo entrando in un sepolcro vuoto…questa tomba vuota ci ricorda che non dobbiamo avere paura, che crediamo in un Dio vivo, che la vita che ci attende non finisce con la morte, che ci ritroveremo insieme di nuovo nella vita nuova…

Forse è la suggestione, forse è la capacità oratoria della guida, forse è la stanchezza delle giornate che abbassa le difese…non so, ho deciso di fidarmi, e mi ritrovo commossa a entrare nel Sepolcro, pochi secondi e il monaco ortodosso ci invita a uscire..Rifiato e ascolto le emozioni, non è suggestione, non è la capacità oratoria della guida, non è la stanchezza, è la bellezza di scoprire che quello che già sai, che quella tomba è vuota, che la vita ha vinto, è vero!

Prima di dormire ripenso a quanto ci ha detto Anna prima della partenza: non si torna dalla Terra Santa uguali a prima…ora ho capito cosa intendeva…

31 dicembre: Un gruppo scendeva da Gerusalemme verso Gerico

31 dicembre! Anche oggi il livello d’intensità della giornata è stato molto alto.

Ci siamo svegliati presto per raggiungere in pullman il deserto di Giuda. Il suo aspetto è molto diverso da quello del nostro immaginario comune: non ci sono né dune, né sabbia ma una distesa enorme di rocce scavate dall’acqua nei millenni. Addentrandoci in questo luogo, abbiamo camminato lungo la stessa strada percorsa dal Buon Samaritano nella parabola e siamo arrivati al monastero di San Giorgio in Koziba. Questo monastero, gestito da cristiani ortodossi, risale al V secolo d.C. e presenta al suo interno la Grotta di Elia. In questo luogo, secondo la tradizione, il profeta si rifugiò nell’attesa di udire nuovamente le parole di Dio che, infine, giunsero a lui nel sussurro di una brezza leggera.

Usciti dal monastero ci siamo soffermati un po’ di tempo nel deserto per meditare sul significato che questo luogo ha per la storia di Israele: luogo per la riscoperta della propria identità ma anche luogo della tentazione. Per risalire quella tortuosa strada tra le rocce qualcuno ha colto l’occasione di provare i “taxi” del deserto: piccoli asini guidati da insistenti beduini…

Nel pomeriggio ci siamo trasferiti a Betlemme. Per raggiungere la città, con qualche timore dovuto al check-point, abbiamo attraversato il muro che separa Israele dalla Palestina. L’ingresso in città è stato piuttosto difficoltoso…centinaia di persone si erano radunate per una manifestazione in piazza: polizia, bandiere…ti viene in mente la comunicazione di ViaggiareSicuri con la nota “evitare gli assembramenti di persone” … ecco, appunto!

La tappa principale del nostro tour è stata la visita alla Basilica della Natività. La piccola porta d’ingresso obbliga ogni fedele a piegare profondamente il capo, a farsi piccolo di fronte alla grandezza che si cela in quel luogo.

La gestione di questa basilica, condivisa tra Cristiani Cattolici e Ortodossi, ci ha imposto attenzione e rispetto degli spazi. Lentamente ci siamo disposti in fila per vedere e toccare la stella argentata e la terra in essa contenuta, il punto in cui la tradizione ritiene sia nato Gesù. Accanto ad esso abbiamo osservato la mangiatoia nella quale era stato adagiato un piccolo Gesù Bambino dalla pelle olivastra e i capelli scuri.

Rientrati a Gerusalemme, abbiamo celebrato la S. Messa di ringraziamento nella Basilica del Convento dell’Ecce Homo presso il quale soggiorniamo in questi giorni. Durante la celebrazione, mentre don Fabio leggeva il Vangelo, il muezzin, dal vicino minareto, ha iniziato il suo richiamo alla preghiera per tutti i musulmani della città: ascoltare la Parola del Signore e, nello stesso tempo, udire le invocazioni in arabo è stato un segno della Provvidenza di Dio che si manifesta non solo nelle cose grandi ma anche in questi piccoli gesti d’amore.

Infine la serata… In una sala messa a nostra disposizione abbiamo chiacchierato, cantato e ballato. Il tutto con l’accompagnamento di un pianoforte magistralmente suonato da Milo. Sulla tavola non mancavano cioccolatini, torrone, spumante ma anche mandorle, frutti di sicomoro, datteri e frutta essiccata.

Un minuto prima della mezzanotte ci siamo tutti spostati sulla più alta terrazza del convento.

Davanti a noi lo spettacolo di Gerusalemme di notte, con le sue case bianche, i minareti e le luci.

Seppur lontani (e con un’ora di anticipo rispetto all’Italia) tanti auguri di Buon Anno a tutti!!!

i giovani pellegrini

30 dicembre: Una giornata tra alti e bassi…sul livello del mare!

Terzo giorno di viaggio e primo nei territori palestinesi. Proprio mentre scrivo stiamo attraversando un check-point: alzo lo sguardo dal pc, osservo il mitra spiegato fra le mani del militare che ferma e controlla la macchina davanti a noi. Nel pullman si fa il silenzio. Anche io smetto di digitare. Avanziamo di qualche metro e affianchiamo i militari: lo scambio di battute con l’autista in arabo non promette niente di buono: alzo timidamente le sopracciglia per sporgere lo sguardo al di là del finestrino socchiuso del nostro autista…che sta ridendo! Sì, siamo italiani: questo ha divertito le guardie che ci lasciano andare in pochi secondi.

Niente è quel che sembra! Questo è il topos letterario di ogni racconto ambientato in questi territori.

Dunque arriviamo alla base del Monte Tabor e iniziamo un’amena passeggiata in salita che a ogni passo diventa meno amena. Ad ogni modo, chi più chi meno, un po’ sudacchiati, arriviamo in cima (a oltre 500 m s.l.m.) in un tempo dignitoso e penetriamo a piccoli gruppetti fra le mura dei mori. La basilica è infatti ancora cinta dalle antiche protezioni erette dai conquistatori musulmani del sito attorno all’anno mille. Naturalmente ora è un sito di culto cristiano dove si ricorda la trasfigurazione di Cristo. L’atmosfera del posto aiuta senz’altro a evocare un po’ di misticismo che si fa fatica a conquistare in queste terre sante a causa del turismo di massa: del resto abbiamo visto turisti a L’Aquila per vedere i resti del terremoto, quindi siamo abituati alla barbarie culturale di molti biechi viaggiatori.

Per rimanere in tema, il pranzo a Gerico è in una enclave per turisti: vendono datteri a 10 euro al chilogrammi…considerando che ci sono migliaia di ettari di palme nei paraggi, è una evidente esagerazione, ma noi riusciamo a goderci un ottimo pasto e del resto lo facciamo anche per permettere al nostro autista di ricevere un obolo dal ristoratore. Gli italiani sono risaputamente dei lamentoni, quindi questa è un ottima occasione per andare un po più a fondo in questa realtà di turismo legato ai luoghi di culto. Ad esempio: di Gerico non vediamo nulla, ma con la sosta in questa sosta di autogrill arabo pensiamo e speriamo che i nostri soldi siano andati ad aiutare famiglie palestinesi che lavorano qui e che di certo non navigano nell’oro come gli ebrei di Israele.

Dopo questa breve riflessione arriva un momento del viaggio molto atteso: il bagno nel mar morto.

Com’è fare il bagno in mare il 30 dicembre!?! fantastico… soprattutto se quando scendi in acqua ed arrivi con l’acqua alla vita inizi a sentire una pressione dal basso verso l’alto. La densità dell’acqua super salata e la depressione (siamo a meno 400 metri sotto il livello del mare!) fanno sì che il nostro corpo galleggi senza difficoltà nel mare. Mi immergo sotto lo sguardo attonito di chi non aveva ancora avuto il coraggio di farlo e mostro come posso stare a galla sollevando dal pelo del mare sia piedi che braccia. Testa rigorosamente fuori dall’acqua per evitare bruciori agli occhi.

Ultimo trattamento di bellezza dopo lo scrub coi sali del mare e la nuotata in questo fluido oleoso, sono i fanghi. Mi spalmo come un maiale che si rotola nella melma e attendo al sole che si secchi un po. Poi mi getto sotto la doccia e la mia pelle diventa liscia come quella del culetto di un bebé.

L’esperienza è contagiosa e poco dopo la spiaggia è piena di persone…ma noi non contenti della goduria, ci concediamo una birra al tramonto in un baretto sulla spiaggia che sembra quasi di essere ai Caraibi.

I giovani pellegrini…e anche un po’ bagnanti!

29 dicembre: Quando c’è fedeltà

La nostra seconda giornata di pellegrinaggio nella Terra della Promessa inizia con la visita al Monte della Beatitudini. In questo luogo Gesù ha ribaltato la logica umana del concetto di benedizione: chiamando “beati” coloro che erano nella miseria e nell’afflizione ha ridato una speranza vera ai molti che erano accorsi ad ascoltarlo.

Scendendo verso il lago di Tiberiade, proseguiamo per Tabgha, la località in cui viene ricordata la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Nella chiesa costruita per fare memoria di questo miracolo, è possibile osservare la pietra sulla quale Gesù poggiò i cinque pani e due pesci prima della benedizione, secondo quanto riportato dalla pellegrina Egeria nel 300 d.C.

Sempre a Tabgha, proprio in riva al lago, visitiamo la roccia del Primato di Pietro. Qui è custodita la roccia in cui, secondo la tradizione, Gesù cucinò il pesce per gli apostoli nella terza apparizione dopo la Resurrezione e interrogò Pietro per tre volte: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?”.

Se ci pensiamo bene, ognuno di noi può mettere il proprio nome al posto di quello di Simon Pietro e diventa la provocazione della vita.

E’ proprio bello restare sulle rive del lago e pensare che Gesù ha chiamato Pietro proprio così com’era, con i suoi tradimenti e fragilità… E’ consolante sapere che Gesù ha bisogno di noi, discepoli imperfetti ma in cammino.

A Cafarnao, visse Pietro con la sua famiglia e qui troviamo le rovine della città, della sinagoga (non originaria dei tempi di Gesù ma risalente al IV-V secolo) e della sua casa. Dall’interno della chiesa a forma di astronave (non proprio consona rispetto al panorama) si vede la stanza a forma di ottagono che ospitò Gesù e che, successivamente, fu luogo di culto e Domus Ecclesiae.

Stare in questi luoghi per ripercorre gli avvenimenti dell’amicizia fra Gesù e l’apostolo a cui ha affidato la Chiesa, ci permette di capire con maggior profondità quanto è importante essere nella Chiesa e vivere la fedeltà al successore di Pietro: “Quando c’è la fedeltà a Pietro c’è già la consapevolezza dell’amore del Maestro”.

In serata siamo stati ospitati presso i locali della parrocchia dell’Annunciazione per incontrare un gruppo di giovani della comunità.

Samer, la nostra guida locale, e Gerjes, l’insegnante di italiano, hanno organizzato per noi una calorosa accoglienza. Circa 40 giovani erano accorsi per conoscerci: insieme abbiamo ballato, chiacchierato e giocato a bingo. C’è anche stata offerta una ricca cena a base di Kebab, falafel e dolce all’essenza di rose. I più coraggiosi si sono lanciati nella sfida dell’imparare qualche parola in arabo con risultati talvolta molto comici.

I frutti della serata sono stati l’amicizia, la condivisione e… due bottiglie di vino vinte al Bingo!

I giovani partecipanti

28 dicembre: quell’ “HIC” che fa la differenza

Saliamo verso la Basilica dell’Annunciazione e davanti a noi, sulla collina, un insieme di piccole case bianche…solo qualche minareto e qualche campanile si inserisce nello skyline di Nazareth. Prima di entrare don Fabio ci anticipa: all’interno il nostro occhio sarà catturato dal…cemento armato!

Ecco tutta la poesia di Nazareth, l’angelo che porta l’annuncio a Maria, è svanita…

Mentre scendo le scalette dentro la chiesa penso che forse è meglio così, qui non c’è bisogno di dipinti a colpire l’occhio o di archi slanciati che facciano guardare verso l’alto…qui il centro è un altro, bisogna andare dentro, dentro la terra, dentro al mistero.

Finite le scale, eccomi davanti alla grotta dell’Annunciazione, leggo: “Verbum caro HIC factum est”, QUI il Verbo si è fatto carne.

Se guardo le pietre mi posso fermare a chiedermi se sia veramente questa la grotta dove Maria è stata visitata dall’angelo…questa, quell’altra, veramente, cosa cambia?…penso che Dio qui si è rivelato, è diventato carne…penso a Gesù bambino che qui ha avuto i suoi primi amici, che qui ha giocato, è stato amato, penso a quella carne e alle ginocchia, anche quelle del Figlio di Dio, che si sbucciano giocando…

E poi penso a Maria, che ha detto il suo sì: lei una ragazza qualsiasi, che vive in un paese insignificante, promessa in sposa a Giuseppe, un carpentiere pendolare, che si è fatta ponte di un Dio che vuole incontrarci…QUI lo straordinario irrompe nella storia!

27-28 dicembre: Arrivati a casa!

È ancora buio quando arriviamo a Nazareth. Il volo puntuale, nessun “problema” al controllo passaporti, la strada libera ci fanno arrivare al Centro Benedetto di Nazareth ben prima dell’apertura già anticipata alle 6.00 per noi. L’aria di Nazareth è fresca e la notte avvolge il panorama quindi non è possibile capire dove siamo arrivati.

Alle cinque il silenzio è rotto dal canto del muezzin della Moschea bianca. Verso le sei arriva Samer: dopo mesi di contatti via mail finalmente lo conosciamo. Lui, un giovane di 25 anni, che lavora come chimico sia in ospedale che per la Hp vicino a Tel Aviv è il referente di un gruppo di giovani legati all’Azione Cattolica della parrocchia dell’Annunciazione di Nazareth. Il contatto l’abbiamo avuto tramite il FIAC (Forum Internazionale di Azione Cattolica) e è lui che ha organizzato la nostra accoglienza in famiglia e nel Centro.

Dopo due ore, fatta colazione e l’introduzione al pellegrinaggio, era chiaro che andare a incontrare una comunità e non solo a visitare dei luoghi, richiede un po’ di elasticità: mille le proposte, i cambi di programmi…il pellegrinaggio rimarrà “in costruzione” fino alla fine.

Partiamo e Samer ci accompagna in direzione Basilica dell’Annunciazione: lungo la strada ci racconta qualcosa del vivere a Nazareth, come è cambiata negli ultimi anni…proseguiamo la visita e incontriamo Geries, altro giovane della parrocchia, che parla italiano e è accompagnato da tre ragazzi sedicenni a cui sta insegnando la nostra lingua…ce li affida per fare pratica…gli incontri continuano tutto il pomeriggio fino a quando non torniamo al Centro Benedetto; ad attenderci Geries e Marie Cristine, la sorella di Samer: ci hanno preparato la cena, stanno curando gli ultimi particolari dell’accoglienza e ci accompagneranno a incontrare il Vescovo, come lo chiamano loro. Marie lavora in un asilo nido e sta sera sembra una Marta, tutta indaffarata a prendersi cura di noi che quasi non si riesce a chiacchiere con lei.

E poi l’incontro con il Vicario Episcopale per Israele, Mons. Marcuzzo, veneto di origine ma in Palestina da una vita intera. Sottolinea quello che fin dalla preparazione è già chiaro e che oggi è diventata vita per ciascuno di noi: siamo qui e abbiamo l’occasione di incontrare una comunità…ma non una qualsiasi, quella direttamente discendente dalla comunità delle origini, quella delle nostre origini. Se a noi è arrivato l’annuncio lo dobbiamo anche a loro…insomma, siamo tornati a casa!

1 commento

    • fr. Tommy il 27/12/2012 alle 18:13
    • Rispondi

    Amici… buon pellegrinaggio! Sono certo che questi giorni nella terra dove Dio ha camminato saranno abbondanti di grazia e di discernimento per tanti di voi! Buon ascolto e buone scelte! Vi “accompagno”…

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